ALESSANDRA LAZZARIS

INTERIOR DESIGNER  VISUAL ARTIST

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Alessandra lazzaris  OSTRICHS

Testo in catalogo

Di Sabrina Zannier

Polveriera Napoleonica Palmanova (UD) maggio 2003

 

 

Una presenza univoca e ossessiva, che di lavoro in lavoro detiene la centralità soggettiva e spaziale entro un registro formale e posturale teso fra lo stazionamento imperativo e il passaggio fuggevole. Nella ricerca di Alessandra Lazzaris è  lo struzzo a detenere tale centralità, tanto da farci pensare, di primo acchito, a una puntuale scelta tematica, magari legata al rapporto uomo-natura, con inflessioni riguardanti l’ecologia. Si tratta di un pensiero assolutamente accreditabile, soprattutto nel momento in cui l’orizzonte artistico manifesta un’indubbia tendenza alla figurazione, quindi all’affabulazione. Alla luce, insomma, di un “dire” che ha preso il sopravvento sull’occultamento dei contenuti, si tende a leggere il soggetto effigiato, soprattutto se reiterato, come manifesto contenitore di senso, come prioritaria porta d’accesso alla narrazione, sia essa condotta in modo frontale o per simboli, paradossi e metafore.

Pur inscrivendosi entro tale orizzonte contemporaneo, il lavoro di Alessandra Lazzaris chiama in causa una maggiore complessità, ravvisabile innanzitutto nel fatto che il soggetto, già di per sé stilizzato e reso quasi fantomatico, campeggia sempre su fondi astratti, avulso da qualsiasi ambientazione, ossia privato di un’effettiva condizione narrativa.

Queste costanti mi hanno condotta a leggere la presenza dello struzzo come un mero pretesto – da praetèxere, composto di prae- (davanti) + tèxere (tessere), propriamente ornare, bordare con un fregio. Ma il lavoro dell’artista non appare in alcun modo connotato da una valenza decorativo-ornamentale, e nemmeno inscritto entro quel principio enunciato nella stessa derivazione etimologica secondo il quale nel “pretesto” vi è una ragione addotta per nascondere la verità, così come il fregio nasconde la realtà. Alessandra, piuttosto, opera su quel sottile confine tra nascondimento e svelamento, laddove pare essere proprio quest’ultimo ad ergersi a motivazione fondante dell’intera ricerca.

Lo struzzo, allora, facendo ancora appello al senso etimologico del vocabolo “pretesto”, rappresenta una ragione apparente addotta per giustificare o, meglio, mettere a nudo motivazioni altre. Tale soggetto è letteralmente un pre-testo, ossia il luogo in cui si compirà il “testo”; più che un contenuto è una sorta di contenitore entro il quale e attorno al quale si sviluppa l’intera ricerca creativa.

  Il senso primo della ricerca di Alessandra Lazzaris pare essere quello di rincorrere, al fine di raggiungere, scoprire e svelare la sua identità nei confronti del mondo, tradotta nella messa a nudo del suo sguardo verso le cose e, in genere, l’esistenza. Certo si potrebbe dire la stessa cosa di ogni artista. La differenza, come sempre, sta nel “come” e, in questo caso, nel fatto che tale tensione si compie attraverso l’utilizzo di un soggetto pretestuoso quale unico segno di riconoscimento fenomenologico, tanto che l’essenza della ricerca si compie esclusivamente entro il testo pittorico.

Una pittura, quella di Lazzaris, che solo in alcuni casi contempla l’utilizzo del colore, mentre per lo più si appella al processo di ossidazione della lamiera di ferro indotto dall’azione chimica dell’acido, steso, questo sempre, a pennello. Ed è proprio nel diretto rapporto con il fare che si articola e sviluppa il senso dell’opera, laddove il controllo del pennello, che traduce il gesto creativo atto a definire i confini e il formalismo del lavoro, si misura costantemente con l’entrata in scena del caso affidato alla corrosione e ai mutamenti cromatici dell’acido. Nell’intero processo va sottolineata la particolare condizione entro la quale si compie il gesto artistico. Alessandra afferma di “dipingere al buio”, perché stendere l’acido trasparente è come stendere acqua priva di pigmento. Da un lato c’è uno sguardo oscurato, ossia l’impossibilità di  verificare immediatamente l’immagine pensata; dall’altro l’attesa di uno scarto rispetto a questa stessa, ascrivibile alla componente del caso; e, successivamente, la riappropriazione del registro creativo attraverso la soluzione di continuità del processo chimico.

Lasciare libero corso al caso, accettare che l’altro da sé concorra alla definizione dell’immagine significa accettare la perseverante rimessa in discussione del sé. Alessandra Lazzaris lo fa senza appellarsi a dichiarate tematiche sociali, ma solo esplorando le potenzialità dell’universo pittorico facendo leva sul suo univoco soggetto pretestuoso.

 

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